La prima volta che si lascia il proprio nido, la propria città, o il proprio paese, è impossibile sapere a cosa si va incontro. Ci si carica di coraggio e incoscienza.
La seconda volta, serve sempre coraggio, ma l’incoscienza già si dosa con più parsimonia, ché uno sa già in parte cosa aspettarsi. Forse non nel dettaglio, non in ogni aspetto proprio e tipico del posto nuovo, però sa già che lo aspettano suppergiù due mesi in cui faccende burocratiche e amministrative andranno sbrigate, la casa nuova andrà adattata a sé come un paio di scarpe da punta nuove, e la routine va ideata, provata e fatta macinare alla memoria muscolare. Si sa come si sente addosso la fatica del giorno del trasloco, lo smarrimento nel supermercato quasi-uguale-ma-un-po’-diverso, i rumori nel silenzio della prima notte nella casa nuova. L'osservare gli spazi inesplorati tra l'armadio e il comodino, il tempo che si dilata mentre ci guardiamo attorno e cerchiamo di interiorizzare il fatto che siamo a casa. Il cervello lo dice, il corpo non ci crede. Ma che vuoi fare? Si valuta la possibilità di battere in ritirata, e magari si decide che il corpo farà il bravo soldatino e fingerà di sentirsi a casa, aspettando che la finzione si tramuti in realtà.
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