3/22/2020 0 Comments Da qui a...?Un venerdì di quasi un mese scendevo alla Stazione di Milano da un treno proveniente da Pisa, con un’amica inglese. Facciamo una breve passeggiata per vedere il Bosco Verticale e il mio grattacielo preferito, quello dell’Unicredit, prima di sederci in un bar per l’aperitivo con una decina di amici di amici. Prendiamo piattini dopo piattini da un buffet che ora sarebbe disposto sotto cartelli con teschio e le tibie incrociate. Slanci di incosciente fiducia: "[pat-pat] Scusi, mi può passare una forchetta?". Iniziamo a leggere le prime notizie di casi di Coronavirus. Mi sento nel posto sbagliato al momento sbagliato, e dire che in Lombardia mica ci vado spesso. Al giorno d’oggi sappiamo che probabilmente il virus era già in giro, e anche durante la conferenza a Pisa nei giorni precedenti mica stavamo in una botte di ferro. Ma allora, un lunghissimo quasi-mese fa, non lo sospettavamo.
Non avevamo il minimo sentore di come la situazione sarebbe evoluta nei giorni successivi, e attingevamo ad ogni risorsa di spensieratezza per goderci un fine settimana lungo sul lago di Garda.
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1/23/2020 0 Comments Rue va à la calanqueC'è un momento nel cuore dell'inverno, quando le giornate sono ancora corte e il freddo sembra un inquilino di lunga data, in cui si inizia a sognare ad occhi aperti la prima fuga primaverile. L'incontro con raggi di sole che effettivamente scaldano, misti a qualche folata di vento ancora freschino. Uscire all'aperto con uno strato di meno, sentire l'aria con vaste regioni di pelle che fino al giorno prima stavano tappate sotto un cappotto e ora hanno solo un po' di cotone a difesa, e devono reimparare a gestire tanti stimoli sensoriali. Riabituarsi a portare quei vestiti che non vedevi da tanto. Magari vedere il mare, e decidere che ficcarci dentro i piedi è un'idea allettante.
Per me questo momento è iniziato l'altra sera. Sono andata a ritirare le stampe di rullini accumulati nell'anno scorso, e una foto, dei primi di maggio a Marsiglia, sembrava starmi dando le indicazioni di cui ho bisogno: va à la CALANQUE. 1/19/2020 1 Comment Rosso di seraMi è stato raccontato che da piccola i miei genitori mi mettevano in un box, per farmi giocare tranquilla mentre loro sbrigavano faccende, e che venivano a controllarmi quando non si sentivano più rumori: voleva dire che stavo tramando qualcosa. In genere una scalata epica alla conquista dei picchi del bordo del box.
Da allora credo che i miei si siano abituati al fatto che di tanto in tanto divento silenziosa, e si rassegnano a non fare tante domande. Temo che un paio di rispostacce date da adolescente li abbiano segnati, e ormai preferiscano fidarsi che a un certo punto parlerò, e che probabilmente non mi avventurerò più letteralmente in scalate epiche di oggetti molto alti 8/24/2019 0 Comments Propositi per l'anno nuovoSono molti mesi che non scrivo. O meglio, sono molti mesi che non scrivo qui. Questa primavera-estate mi ha vista scrivere su diari tascabili di quelli pieni di parole piccole, storte e dense, in quaderni vuoti per dare spazio ai pensieri di espandersi senza distrazioni, e su fogli di passaggio per interrompere qualche corto circuito ed essere libera di continuare a fare quel che dovevo fare. Ho scritto, riscritto, e buttato. Ho scritto lettere a me, e lettere ad altri che non sono mai state inviate, in un moto frenetico di scrivere per pensare, che pensare pensando non mi è mai riuscito molto bene.
Dopo un anno segnato da una serie di lettere a "Invece Concita" (vedi Che sconfitta questi figli che se ne vanno, Cara Sonia anche per noi figli è una sconfitta, Una nonna e le favole al telefono, solo per citarne alcune) pregna della retorica vecchio-patriottica del tristissimo giovane italico, costretto a lasciare mestamente la sua Italia, nella celebrazione di una gran sconfitta per lui, per la sua famiglia, per il Paese, e per l'Umanità tutta, stamattina apro il giornale accanto alla mia tazzona di porridge freddo e mi ritrovo questo articolo di Federico Fubini: La fuga dei giovani è la nuova paura.
Già dal titolo, ammetto di aver più o meno consciamente iniziato ad affilare gli artigli. 2/8/2019 0 Comments Ode all'ultimo creminoOrmai il turrón blando, fornito dall'Uomo che mi Ama Così Tanto da mantenermi sempre fornita delle mie tisane preferite e di qualche dolcetto affettivo, è un ricordo. I Cuor di Mela presi per attutire la nostalgia del rientro dalle vacanze di Natale e dosati con parsimonia, sono finiti pure quelli.
Stamattina sembrava che fosse calata la nebbia nottetempo, niente di particolarmente esotico da queste parti. Però guardando bene verso uno sfondo scuro, si notava che le particole di nebbia erano più solide. Non rimanevano sospese come fa la nebbia, non cadevano più o meno direttamente come i più grossi fiocchi de neve, ma con traiettorie da mini-moschino lento e instupidito si muovevano dal'alto al basso. Senza vento. Sulla faccia si percepiva la stessa umidità di quando c`e nebbia, ma nei punti non calpestati della città pian pianino si formava un velo di neve a grana finissima. Aeroporto. Aereo molto in ritardo. Natale alle spalle e Capodanno a un passo. Immancabile, suona la campanella del bilancio!
Quest’anno ho l’impressione di aver vissuto un’offerta promozionale di tre anni al prezzo di uno. Nel primo, ero una postdoc in Giappone, che macinava candidature su candidature per trovare una nuova posizione, in quel turbinio di aspettative, speranze e paure di quando in ogni momento potrebbe arrivarti una mail che contiene un possibile futuro o la sua chiusura. Cercavo di mantenere i nervi tesi ma fermi a simulare compostezza, e dietro a un serafico sorriso, stavo facendo concorrenza ai tralicci dell’alta tensione che vedevo fuori dalla finestra. 11/4/2018 0 Comments Due anniVi ricordate quando andavano di moda le borse tascapane della Onyx? Insieme alle magliette Onyx con le bambolotte, i jeans a vita così bassa che le mie reni non me li perdoneranno mai, e le scarpe Fornarina con la zeppa (per le occasioni eleganti)? Fine anni 90, inizio 00? Ecco, io la borsa della Onyx ce l'avevo, ma la mia non aveva una bambolotta, io avevo quella con l'Union Jack [Google Images non osa conservarne il ricordo, chissà se i genitori riescono a produrre un'immagine d'archivio].
Poi, questa fissa con il Regno Unito che non ricordo da dove fosse arrivata (uhm...le Spice Girls probabilmente...), è passata, ma devo dire che mi fa qualcosa, essere capitata a vivere qui. Ennesima perlina da infilare alla collana del: "attenzione a cosa chiedi all'Universo". La prima volta che si lascia il proprio nido, la propria città, o il proprio paese, è impossibile sapere a cosa si va incontro. Ci si carica di coraggio e incoscienza.
La seconda volta, serve sempre coraggio, ma l’incoscienza già si dosa con più parsimonia, ché uno sa già in parte cosa aspettarsi. Forse non nel dettaglio, non in ogni aspetto proprio e tipico del posto nuovo, però sa già che lo aspettano suppergiù due mesi in cui faccende burocratiche e amministrative andranno sbrigate, la casa nuova andrà adattata a sé come un paio di scarpe da punta nuove, e la routine va ideata, provata e fatta macinare alla memoria muscolare. Si sa come si sente addosso la fatica del giorno del trasloco, lo smarrimento nel supermercato quasi-uguale-ma-un-po’-diverso, i rumori nel silenzio della prima notte nella casa nuova. L'osservare gli spazi inesplorati tra l'armadio e il comodino, il tempo che si dilata mentre ci guardiamo attorno e cerchiamo di interiorizzare il fatto che siamo a casa. Il cervello lo dice, il corpo non ci crede. Ma che vuoi fare? Si valuta la possibilità di battere in ritirata, e magari si decide che il corpo farà il bravo soldatino e fingerà di sentirsi a casa, aspettando che la finzione si tramuti in realtà. |