7/28/2021 0 Comments Quante vite ho immaginatoEro piccinina, e con te mi immaginavo escursionista, su per i monti e in mezzo alla natura, e poi a sorridere soddisfatta davanti a un piatto di gnocchi in rifugio mentre fingevo di non accorgermi che mi stavi fotografando. Sempre con le macchine fotografiche appresso, venerandone di nuove e di vecchie, discutendo di profondità di campo, regola dei terzi, tempi d'esposizione. Domeniche pomeriggio tra fumetti e riviste d'archeologia, il profumo della pasta fresca con pesto alla siciliana in sottofondo. Sigur Rós e musica folk. Nella portiera della Fiesta raccoglievo fiori, foglie e rametti che raccattavo durante le passeggiate. Il futuro non aveva tempo e forma, all'epoca il presente era così pieno e scorreva a una velocità che a compararla con il presente di ora, era lentissima. Con te invece scoprii l'esotismo dell'oltre confine. Fu breve, confuso, lasciai che la curiosità, il mio motore primo da sempre, guidasse senza supervisione le mie scelte sentimentali, senza stare ad ascoltare neppure il cuore. Perché il cuore avrebbe tirato il freno a mano presto assai. Per un attimo, mi immaginai vivere nel sud della Francia, studiare a Montpellier o a Marsiglia. Un futuro appena intravisto tra i raggi di Provenza. Passò un po' di tempo, il tempo della riappropriazione della me stessa studentessa universitaria, ma poi arrivasti tu. Qualche messaggio che mi fece battere il cuore mentre il cervello suonava tutti i campanelli d'allarme che trovava. Saresti venuto a Trieste per tre giorni, ti avrei ospitato per tre notti. Poi partisti e il cuore non smetteva di battere, e il cervello non sapeva più cosa inventarsi per farlo smettere. Partisti e un'ora e mezza dopo mi scrivesti che eri stato davvero bene con me. E che avresti voluto rivedermi presto, così due settimane dopo eri di nuovo lì. Mi dissi che forse era vero che gli opposti potevano attrarsi senza bruciarsi, e iniziai a immaginarmi con te. Virgin Radio come colonna sonora. Mi immaginai a girare il mondo in motocicletta. Nelle mani avevo i gesti automatici dell'alzare e abbassare la visiera del casco, e mi immaginavo che non sarebbero mai andati via. Ma dopo qualche anno il futuro cominciò a sembrarmi più concreto nei tuoi occhi che nei miei. Non ero pronta, appena cominciavo ad abbracciare la mia nuova vita di dottoranda in Normandia, nel mio appartamento scricchiolante sotto il tetto, con vista su Saint-Nicolas da un lato e Saint-Étienne dall'altro. Volevo ubriacarmi di quel mio presente. Volevo essere Celeste in tutta la sua Celestità. Tu accettasti la Celestità impenitente. Ti conoscevo da qualche mese, ma parlarti durante le pause al lavoro, e continuare a messaggiare per tutta la sera veniva naturale. Sono certa che al concerto di Bregovic non ci saresti venuto se non te l'avessi chiesto io, ed è stato tenero. Sono certa che alla fine ti è piaciuto. Un pomeriggio a guardare nei tuoi occhi, e mi sembrava di conoscerti da sempre. Una settimana e un festival di Beauregard assieme e nel mio cuore volevo vedermi con te per sempre. Quell'estate di conferenze una dietro l'altra sono fuggita a Barcellona per una gita estemporanea con te, senza spiegare niente a nessuno, probabilmente lasciando interdetti i genitori che ero andata a trovare a Trieste. Sentite, settimana prossima vado a Barcellona. Un amico. Poi torno eh. Avrei voluto che le giornate avessero il doppio delle ore, per passare più tempo con te, a camminare senza meta, a scoprire i tuoi luoghi, seduti vicini sui treni da e per Plaça de Catalunya. Abbandonando a poco a poco il francese, per inventare il mix di italiano e spagnolo che sarebbe diventato La Nostra Lingua. Tornati in Francia siamo andati a convivere alla velocità della luce...ed è sembrato miracolosamente facile e naturale dividere i miei spazi e le mie abitudini con te. La mia vita mi piaceva prima, ma mi piaceva ancora di più con te. Tornare da danza la sera e trovarti nella cucina sotto al tetto a preparare una tortilla profumava di paradiso in terra. A poco a poco abbiamo scoperto anche i reciproci lati bui. I picchi di felicità hanno iniziato ad essere intervallati di montagne russe. E le nostre carriere stavano appena iniziando: la mia mi ha portata in Giappone, la tua poco dopo in Germania. Pensavamo di essere forti abbastanza per reggere tanta distanza, e avevamo ragione. Abbiamo iniziato a ridurla quella distanza, sono tornata in Europa, ma ci servivano ancora un aereo e due treni per vederci. Le montagne russe emotive erano strazianti. La distanza senza una data precisa di chiusura, e peggio ancora, senza una possibilità di chiusura che non comporti la rinuncia dei sogni lavorativi da parte dell'uno o dell'altro, erano una ricetta per un miscuglio di senso di colpa e risentimento. E infine tu. La prima conferenza che avevo organizzato a Leeds era appena finita, mi sentivo tanto peso e responsabilità sulle spalle. E scelte adulte sul cosa fare della mia vita di fronte a me. Mi hai portata a ballare, ancora e ancora. Dopo anni ho rivisto l'alba uscendo da un locale, e mi sono detta che non devo smettere di farlo mai più. Finalmente ho iniziato a conoscere la scena notturna della città dove vivevo da quasi un anno. Mi è sembrato di rinascere. Ero viva e vibrante, in pieni colori. E tu, con gli occhi azzurri fermi. La voce calma. Parlavi poco ma c'eri, senza dichiararlo, senza chiedertelo. Ci siamo conosciuti lentissimamente, le mie amiche ti chiamavano Niglioman per quel carattere riservato come quello del mio Niglio, adorata bestiolina che non si direbbe proprio che ti vuole bene, se non che quando ci rinunci viene ad acciambellarsi accanto a te, seppur appena fuori portata per le coccole (che sennò l'umana si monta la testa). E allora sai. Arctic Monkey, The Killers e Michael Jackson in sottofondo. Dopo diversi mesi ho conosciuto i tuoi colleghi, che ti prendevano in giro perché ancora non dicevi che ero la tua "girlfriend". Stavamo going out, e mi andava bene così, la lentezza era rassicurante, in contrasto con la rapidità della mia relazione precedente. E poi dicevi che avresti fatto una cosa, e la facevi. Dicevi "andiamo a Londra a vedere Il Re Leone?" e il giorno dopo mi chiedevi se mi andavano bene tali giorni e orari, che volevi prenotare treni, alberghi e teatri. Sei un uomo che prenota cose. Mi sono detta "ok, siamo una coppia poco probabile, ma è un uomo stabile che prenota cose. Forse sono arrivata". E avevi una famiglia stabile e amorevole. Se non altro, gli scheletri non sarebbero usciti da quell'armadio. Ho scelto di ignorare gli aspetti su cui forse eravamo meno compatibili, perché questa tua stabilità silenziosa mi calmava e tranquillizzava. Ma c'era tanto che non sapevamo l'uno dell'altra. Forse, in un altro universo, ci saremmo scoperti ulteriormente con lentezza, forse ci saremmo metabolizzati meglio, o forse no. Ma non lo sapremo mai perché è arrivata la pandemia. Un giorno stavo preparando gli scatoloni per andare a stare a Londra, a tre ore di treno da te, il giorno dopo mi stavo sigillando in un appartamento con te. Lockdown. Incertezza. Il mondo è sottosopra e noi siamo nella stessa stanza 24 ore su 24. Abbiamo parlato per la prima volta delle nostre opinioni politiche, delle nostre idee sulle cause sociali del momento, dei nostri valori, della nostra famiglia ideale e delle nostre speranze per il futuro. E abbiamo scoperto di essere diversi. Ma ci siamo anche presi cura l'uno dell'altro in completo isolamento dai nostri cerchi sociali e familiari. Ci siamo spronati ad andare a fare le passeggiate, ci siamo dati i turni per andare al supermercato, e quand'era il nostro turno cercavamo qualcosa da comprare per fare una piccola sorpresa all'altro. Io prendevo i tuoi gelati preferiti, tu prendevi un frutto esotico che non sapevi cosa fosse ma eri certo che mi avrebbe fatta felice. Abbiamo cucinato l'uno per l'altra, guardato tutto The Tiger King, The Vicar of Dibley, Car Share e molto altro. Mi hai dato sostegno quando mi è sembrato impossibile iniziare un lavoro nuovo, di cui non sapevo neanche l'ABC, da casa e a distanza. Prima che le procedure per lavorare da casa fossero rodate. Avevo fatto un salto di carriera coraggioso, ma sentivo che la terra stava per venirmi a mancare sotto i piedi - ed era la cosa meno preoccupante che stava succedendo nel mondo. Ma tu sei stato lì, e mi hai detto che dovevo solo quietarmi e iniziare a fare le cose. E ho iniziato. E la terra non è mancata. Io ti ho dato sostegno quando ti sei stufato del tuo lavoro, e hai pensato che potevi fare qualcosa di più ambizioso. Hai l'intelligenza e i nervi saldi per fare qualunque cosa, ma ricominciare un dottorato, dopo averne lasciato uno nel passato, ti faceva paura, a chi non lo farebbe. Era la prospettiva migliore per te, lo volevi fare, era il tuo turno di saltare, e ti ho tenuto la mano. Lo rifarei mille volte. In quei primi mesi di pandemia ci siamo reciprocamente esasperati, allontanati e avvicinati. Tutto allo stesso tempo. E poi, lentamente la normalità è ricominciata a tornare. Per un po' tutto era nuovo ed eccitante, e ti ho aiutato a cercare casa e a traslocare. Ma inevitabilmente, è arrivato il momento di guardare in faccia gli aspetti che avevo scelto di ignorare, quelli che mi facevano dire "siamo incompatibili". Vorrei tanto riuscire a credere di potermi plasmare a te, adattarmi al tuo modo di comunicare, adattarmi al tuo modo di esprimere affetto e riuscire a dire sinceramente di immaginarmi, nel futuro, felice con questi compromessi. Ci ho provato. E riprovato ancora, perché diamine, persone come te sono rare. Ma quel futuro felice davvero non me lo riesco a immaginare, e se non è felice per me non può esserlo neppure per te. Non mi resta che sperare che in qualche modo tu resti nel mosaico della mia vita, tessere delicatamente per lasciar assestare questo cambiamento senza amputare la relazione. E che la Felicità trovi entrambi.
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